Città d’ arte

Ovidio ci narra quindi la leggenda che da Atlante prese origine il sistema montuoso omonimo e poiché era molto alto si affermò che Atlante reggesse sulle sue spalle la volta celeste. In realtà il mito di Atlante è narrato anche in un altro modo. Figlio del titano Giapeto e della ninfa Climene; fratello di Prometeo, combattè al fianco dei titani nella guerra contro le divinità dell’Olimpo. Per punizione fu condannato a reggere per sempre sulla schiena e sulle spalle la terra e l’intera volta celeste. Poiché Atlante era il padre delle Esperidi, le ninfe che custodivano l’albero delle mele d’oro, Eracle gli chiese di aiutarlo a realizzare una delle sue fatiche, che consisteva appunto nel procurarsi i famosi frutti, offrendo in cambio di sostenere il suo peso. Atlante accettò di buon grado, pensando di liberarsi per sempre di quel tremendo carico; ma quando ritornò con le mele Eracle gli chiese di riprendersi per un momento il fardello, per sistemare meglio il peso,. Atlante acconsentì ed Eracle fuggì con le mele. Nelle restanti parti l’affresco di più difficile lettura per il cattivo stato di conversazione e solo il restauro è riuscito a portare alla luce altri elementi interessanti. Infatti, sulle pareti est ed ovest, accanto ai personaggi mitologici appena citati, sono apparse le figure di aquile ornate da nastri ed elementi decorativi di forma geometrica, e, all’interno di cornici di forma rettangolare, la scritta latina “Quod modo tollit amor dat mihi sommus iners”, tradotta in italiano “Quello che l’amore toglie me lo dà il sonno che rende inerte”. Un motivo che ricorre su entrambe le pareti sopra descritte è quello delle aquile di colore nero di pregevole manifattura; l’aquila, il re degli uccelli, che vola verso il sole e il cui occhio resiste alla luce celeste, è un antichissimo simbolo della luce. Essa è associata a Zeus. Poi a Giove. Aroma diventa il simbolo dell’imperatore e, sulle insegne militari, l’immagine simbolica delle legioni vittoriose. Alla morte dell’imperatore si libera un’aquila che nel suo alto volo è segno di apoteosi. La chiesa protocristiana assunse dapprima un atteggiamento cauto nei confronti dell’immagine dell’aquila, dal momento che essa era segno del potere romano; poi con Costantino, quando le insegne imperiali furono trasposte sul Cristo, l’aquila fu correlata a questo “Signore dei Signori”, tendendo col tempo a diventare simbolo di Cristo. In araldica essa è riprodotta frontalmente, rappresentando il potere temporale: L’aquila con il serpente tra gli artigli fu il popolare emblema della sovranità degli Hohenstaufen; con la lepre abbattuta fu l’emblema particolare di Federico II. L’aquila bicipite, un antichissimo simbolo culturale, assurge per la prima volta a Bisanzio a simbolo di Stato. Poiché si credeva (secondo Aristotele) che quest’uccello volando in alto finisse il sole, fu considerato altresì simbolo della contemplazione e della conoscenza spirituale: Con riferimento a tali caratteristiche e a suo alto volo, divenne un attributo dell’evangelista Giovanni. Tra gli elementi della decorazione spiccano figure di frutta e verdura, aventi con ogni probabilità funzione di simboli epitalamici, composti da mele cotogne, melograni, cipolle, fichi, limoni, pere, pigne, che nel loro sorprendente alternarsi, sono da considerare come da elementi afrodisiaci. Simboli d’immortalità, prosperità e sessualità, nel mondo classico, la frutta ereditatali attributi anche nel cristianesimo, che ritroviamo qui pienamente espresse nell’articolata cornice vegetale. Infatti, le mele cotogne e i melograni si raccomandavano alle donne prima di fare l’amore, e servivano quindi a potenziare la loro fertilità e a dare fragranza alle labbra; in Grecia erano dedicate ad Afrodite, Dea dell’amore; nell’antica Roma le donne sposate da poco indossavano corone di rami di melograno. In Palestina era usata come paragone nei canti d’amore e la bevanda che se ne estraeva, leggermente alcolica, era cara agli innamorati. In India il succo di melagrana era ritenuto un rimedio contro la sterilità. Nella pittura veneziana del 500 troviamo esempi di mela cotonia offerta alle donne. L fonte in questo caso è Plutarco nei Coniugalia Precetta. Molto probabilmente sono state dipinte con un auspicio di fertilità in una prossima unione. La cipolla era considerato un potente rimedio contro le malefiche influenze lunari; il fico è anch’esso un simbolo di fertilità, vita, prosperità e pace; la pera indica buona salute e speranza; alla pigna è attribuito il segno della fertilità e, per via della forma della fiamma e del fallo, indica la forza creativa maschile e la buona fortuna; l’uva rimanda ancora alla fertilità, e, in quanto vino, simboleggia orgia e vigore giovanile; la castagna, simbolo della saggia previdenza ed infine il limone, che indica fedeltà in amore.

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